Il
cannibalismo esistenziale di Alexander Barner
Se l'autore rimane nell'ombra le sue opere sono invece riconoscibilissime.
Accecante come il sole nelle sue ore di punta, la Street Art di Alexander
Barner, ha un impatto fortissimo.
Il filone unico è però reso in maniera sempre diversa. Lo
stile inconfondibile fa di Alexander Barner una personalità
originale che cambia perchè scandita e scalfita dalla società
contemporanea.
Nelle sue opere i volti umanoidi sono stravolti, forse persi nell'estasi
di qualche droga moderna. Teschi dal cui sguardo trapela una mancanza
di equilibrio totale come se il loro mondo stesse lì lì
per esplodere in mille pezzi. I loro occhi sbarrati lasciano scorgere
il vuoto che invece di attraversarli li alimenta. Le pupille galleggiano
rigide in un oblio senza nome.
Barner riesce a catturare e a riproporre in maniera particolare la frenesia
e l'ansia della nostra società. Il benessere fittizio ci distrae
così tanto da farci "morire" senza rendercene conto.
"L'uomo" di Barner è alienato non ha più umanità:
è una maschera.
In questo mondo dove il consumismo ha divorato tutto non potevano mancare
i riferimenti al Dio denaro. Ed ecco che al centro delle sue opere troviamo
anche I piranha e il simbolo dei soldi.
Pesci cannibali sempre sul punto di mangiare qualcosa fossero anche i
loro simili.
Cannibalismo esistenziale che ci coinvolge tutti e di fronte a cui la
figura umana di Barner appare inserita ma confusa.
La violenza si esprime nei suoi tratti decisi ma incompleti come se anche
il tempo di rappresentarla fosse in pericolo. Come se si fosse innescata
una bomba ad orologeria e tutto succedesse troppo in fretta per coglierne
il senso. La situazione attuale viene sintetizzata attraverso i
suoi simboli e quello che viene a galla è la mancanza di riferimenti.
Se l'Urlo di Munch esprimeva un angoscia disperata, le "paralisi"
di Barner concretizzano l'ansia stupefacente che proviamo naufragando
in un mare di punti interrogativi e di finti appigli dove l'unica forma
di vita rimane il pesce cannibale. Per tutti questi motivi non potendo
più chiamare questa arte umana la chiamiamo URBANA.
Martina De Martino
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